Intervista – “Scattare un’altra fotografia”: la musica di Trilussa

Intervista all’artista protagonista dell’episodio 674 della nostra rubrica #LFMConsiglia (9 aprile 2025) e vincitore del Premio della critica del mese di aprile 2025.

Trilussa, nome d’arte di Marco Fucci, nasce a Roma, città di cui racconta anche nelle sue canzoni.
Trilussa è l’inizio di un percorso durato vari anni che ha portato l’artista a maturare un’identità incentrata sulla musica cantautorale pop/folk, che nasce dall’amore per la chitarra e dall’ascolto già in tenera età dei cantautori italiani.
Dopo l’uscita dei primi singoli: ‘’Già da ora’’, ‘’Viale Gottardo’’ e ‘’Tutta colpa’’, che ottengono da subito un buon riscontro, l’artista inaugura il suo percorso in Honiro Label e Understand con ‘’Mi Ferirai’’, uscito il 4 aprile, brano inserito nell’episodio della nostra rubrica #LFMConsiglia a lui dedicato (il 674 del 9 aprile 2025) e che l’ha portato a vincere il Premio della Critica assegnato dal nostro staff, di aprile 2025.

Disponibile, invede, dal 23 maggio, “Non lo capiresti mai’’  (Honiro Label) è il suo ultimo singolo.
In un mondo che sa logorare lentamente il nostro equilibrio, è facile isolare i propri pensieri che, a loro volta, ci isolano e ci ingabbiano in una realtà sempre più personale e funzionale alla nostra emotività. Rabbia, gioia, dolore: il tutt’uno stravolgente della vita di tutti i giorni prende forme spesso difficili da capire agli occhi degli altri. Tuttavia, la costante rimane il modo in cui vediamo noi stessi e in cui riusciamo, in qualche modo, a capirci. 

Abbiamo approfittato di questa nuova uscita per fare quattro chiacchiere con lui.
Ne è venuta fuori questa interessante intervista.
Ecco cosa ci ha raccontato.

Come è nata la tua passione per la musica e, in particolare, per la chitarra? 
La passione per la musica è nata in modo naturale, quasi spontaneo. Ho sempre sentito un’attrazione forte verso le melodie, sono come una calamita per me. Da piccolo ero continuamente alla ricerca di canzoni che riuscissero a stuzzicare quel lato profondo, quel piacere interno che provavo semplicemente ascoltando. E da lì è nato anche il desiderio di farlo io, di provare a comunicare qualcosa di bello alle persone attraverso la musica, con melodie che potessero lasciare un segno.
La chitarra, anche se ancora sto imparando a suonarla, è sicuramente il mio strumento preferito. È incredibilmente versatile, ci puoi fare praticamente tutto, e in più ha qualcosa di molto “umano” per me. Il legno, le corde… non so, mi danno una sensazione di connessione con la natura. È come se, ogni volta che l’ascolto, ci fosse qualcosa di molto semplice ma profondo che si attiva.

Le influenze dei grandi cantautori italiani si sentono nella tua scrittura. C’è qualcuno, tra loro, che senti più vicino artisticamente? 
Sicuramente Battisti e un po’ di De Gregori. Battisti in particolare mi ha colpito da ragazzino: la prima volta che ho sentito “Pensieri e parole” in TV, avevo circa dieci anni, e da lì ho cominciato a cercare tutto su di lui. Quello che mi affascina è la sua capacità di dire cose profonde con parole semplici, dirette. La scrittura di Mogol è una scrittura che sembra leggera, ma ti resta addosso. Cerco anche io, nel mio piccolo, di fare lo stesso.

I tuoi primi singoli, come “Già da ora”, “Viale Gottardo” e “Tutta colpa”, hanno da subito definito il tuo stile. In che modo senti di essere cresciuto da allora? 
Quei tre brani sono una fotografia precisa di un momento della mia vita. Anche se magari un po’ grezzi, li sento ancora molto veri. Riascoltarli oggi mi fa sorridere, perché mi riportano a sensazioni che non ho dimenticato, ma che in qualche modo ho superato. Mi viene quasi voglia di abbracciarmi.
Non so se mi sento “cresciuto” nel senso classico. Sicuramente mi sento più consapevole dei miei mezzi, delle parole che scelgo, della mia voce. E credo che basterà semplicemente scattare un’altra fotografia, in un altro momento della mia vita, per scrivere canzoni di quel calibro e stile.

Sempre a proposito di tuoi brani, procediamo spediti fino all’attualità. Parliamo, di “Non lo capiresti mai”, il tuo ultimo brano. Com’è nato questo pezzo e cosa volevi comunicare?
È nato in uno di quei giorni lenti, in cui ti fermi a guardare tutto quello che ti manca. Parla dell’attesa, del sentirsi fermi mentre tutto intorno si muove. Ho cercato di raccontare quella sensazione di voler urlare ma restare in silenzio, di voler andare via ma sperare che qualcuno torni. È un pezzo intimo, che si nutre di piccoli gesti e pensieri che spesso non diciamo a voce alta ma che, sotto sotto, molti conoscono bene.

“Non lo capiresti mai” arriva dopo “Mi Ferirai”, il brano con cui ti abbiamo conosciuto all’interno del nostro portale. Ti va di parlarci anche di questo pezzo?
“Mi Ferirai” è un pezzo nato dalla paura. La paura del nuovo, di buttarsi in qualcosa che potrebbe essere bellissimo ma che, allo stesso tempo, potrebbe far male. Parla proprio di quella linea sottile tra il desiderio e la difesa, tra il lasciarsi andare e il trattenersi. È una canzone intima, ma vuole far riflettere da entrambi i lati.
La verità è che la paura è umana, e tra i giovani è molto comune il non concedersi del tutto proprio per questo. Il mio messaggio, se ce n’è uno, è di fare quello che sentite di fare. Se avete paura, va bene anche non farlo. Ma se avete il coraggio di lanciarvi, magari scoprite qualcosa di bello… oppure vi fate male. Fa parte del gioco.

Ascoltando i tuoi pezzi, viene fuori come la tua scrittura sia molto diretta ma allo stesso tempo sensibile. Quanto è importante per te che chi ascolta si riconosca nei tuoi testi?
Con la mia scrittura cerco di lasciare delle immagini ben chiare, quasi cinematografiche. Mi piace pensare che chi ascolta, magari chiudendo gli occhi, possa davvero immaginare quello che sto raccontando. È importante per me che le persone si riconoscano nei miei testi, certo, ma a volte mi dispiace un po’ sapere che qualcuno si ritrova nelle mie parole, perché spesso nascono da momenti difficili.
Se ci si rivede, vuol dire che anche quella persona sta vivendo qualcosa di simile. E io lo capisco bene. Però, allo stesso tempo, mi fa piacere sapere di poter essere di compagnia. Se la mia musica può aiutare anche solo un po’ a superare un momento complicato, allora sono contento. Anche se, dentro, resta sempre quella piccola malinconia del “mi dispiace che tu stia passando ciò che ho passato io”.

Folk, pop, cantautorato: come definiresti il tuo stile oggi? Ti senti appartenere a un genere preciso o preferisci restare libero?
Mi sento un po’ tutto, forse ora un po’ più cantautore. Non amo chiudermi in una definizione precisa, perché ogni canzone ha la sua strada. A volte è più intima, altre più leggera, altre ancora quasi parlata. Credo che l’importante sia restare onesti con sé stessi. Il genere, alla fine, è solo un contenitore.

Guardando indietro, c’è un tuo brano che senti più vicino alla tua essenza artistica? Quello che, più degli altri, ti rappresenta ancora oggi?
Probabilmente “Viale Gottardo”. Perché è nato in una sera molto vera, senza pensare troppo. Racconta una strada di un quartiere che sento mio, e ogni volta che lo canto mi sembra di tornare lì. È un brano semplice, ma dentro c’è tutto: l’ironia, la malinconia, l’osservazione del mondo attorno. Se dovessi far ascoltare una sola canzone a chi non mi conosce, forse sceglierei quella.

Spostando lo sguardo in avanti, quali sono i prossimi passi?
I prossimi passi sono continuare a scrivere, registrare, pubblicare. Voglio portare avanti questo percorso in modo sincero, senza forzature. Ho tante cose da raccontare e sto cercando il modo migliore per farle arrivare. E poi sicuramente suonare dal vivo: è lì che le canzoni prendono vita e rilasciano un’energia diversa.

Quali, invece, i sogni?
Il sogno è fare questo per davvero, farlo diventare la mia vita e arrivare a più persone possibili. Un giorno mi piacerebbe fare uno stadio o un palazzetto perché no [ride].
I sogni sono tanti, ma so che vivono e si realizzano solo con il duro lavoro. Prima dei sogni “grandi”, ci sono quelli più piccoli, ma fondamentali: come scrivere un disco, che è una cosa che voglio assolutamente realizzare appena ne sentirò la necessità. Un passo alla volta, senza fretta, ma con tanta voglia.

A proposito di sogni, con chi ti piacerebbe collaborare, un giorno?
Ci sono davvero tanti artisti in Italia con cui mi piacerebbe collaborare. Se proprio devo dirne uno così, di pancia, ti direi Cremonini. Ha un modo di scrivere e di stare sul palco che mi affascina. E poi, sarebbe bello anche il contrario: che un giorno qualcuno dica “voglio collaborare con Trilussa”. Ecco, quello sarebbe davvero figo.

Grazie, è stato un grande piacere. In bocca al lupo per tutto e alla prossima.
Grazie a voi davvero, è stato bello chiacchierare così a cuore aperto. Alla prossima e incrociamo le dita.

Profilo Spotify dell’artista.

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